venerdì 20 maggio 2011

Belletti e la maledizione di Teodorico

Una caduta dopo il mausoleo penalizza il Furetto romagnolo. L’apripista Modolo finisce a terra, il cesenate resta da solo e chiude 7°: Ravenna è di Cavendish. Manuel lancia lo sprint all’altezza del palazzo del re ostrogoto ma gli va male. Peccato perché stavolta la Colnago era tutta per lui

Stavolta il Furetto è rimasto in trappola, vittima della maledizione di Teodorico. Tra il mausoleo e il palazzo del grande sovrano sono svanite le ultime speranze di Manuel Belletti di fare il bis al Giro d’Italia dopo il successo del 2010. E di completare il personale tour della Romagna: primo a Cesenatico nel 2010, primo a Riccione in primavera alla Coppi e Bartali, ma solo settimo ieri a Ravenna. In quei 1200 metri che separano l’ultima dimora del re dal palazzo dove egli ospitava - e qualche volta faceva uccidere pure a tradimento, come nel caso di Odoacre - i notabili dell’epoca, si consuma un dramma sportivo evitabilissimo. Bastava che il finale della Castelfidardo-Ravenna fosse disegnato in maniera un po’ più rispettosa dei corridori. Occorreva anche, come ha fatto capire a chiare lettere il 25enne di Sant’Angelo di Gatteo, che prima del Giro qualche partecipante prendesse lezioni di guida sicura.
Accortezze che probabilmente avrebbero evitato il patatrac sul cavalcaferrovia della Darsena a un chilometro e mezzo dall’arrivo in via di Roma. Chi mastica un po’ di ciclismo già dalla mattina aveva capito che quella curva a sinistra, cieca e stretta, avrebbe creato problemi, giusto per usare un eufemismo. “In questo imbuto cadono”, aveva sentenziato un ex corridore già verso mezzogiorno. Ma nel mondo delle due ruote l’opinione di chi ha avuto l’ebbrezza di attaccarsi un numero dietro la schiena, evidentemente, conta meno di quella degli uomini in camicia linda e cravatta a pois.
Fortuna che nessuno si fa troppo male. Semplicemente uno della Androni finisce lungo - i bookmaker a quel punto avevano chiuso le scommesse per eccesso di puntate - e gli altri gli precipitano addosso. Faccenda poco piacevole e piuttosto dolorosa quando arrivi ai 50 all’ora da un drittone come via Darsena. Il più furibondo è il sudafricano Hunter che bestemmia in ostrogoto all’indirizzo del povero Sacha Modolo, prova a sferragli un pugno e quasi gli lancia la bici addosso. Il veneto, che per una volta si era messo al servizio di Belletti, si rialza e trotterella mesto verso il traguardo con una strisciata di sangue su di una gamba.
Peccato proprio perché, una volta tanto, quelli della Colnago Csf dal Modolo erano passati al Modulo. Finalmente il ds Bruno Reverberi aveva stoppato i due puledrini della scuderia: il purosangue (Belletti) finalmente avrebbe avuto il diritto di precedenza. L’altro gli avrebbe tirato la volata senza saltargli sulla ruota come è successo anche recentemente. Reverberi lo aveva ribadito anche ai microfoni Rai, durante la corsa: “Oggi siamo tutti per Manuel, è un appuntamento troppo importante. Per noi è l’ultima possibilità”. A tavolino era stato deciso che Frapporti, Canuti e, appunto, Modolo avrebbero tenuto coperto il Furetto romagnolo fino ai 300 metri dalla Loggetta lombardesca.
Belletti invece arriva all’altezza del palazzo di Teodorico senza compagni, penultimo di un gruppettino che si è avvantaggiato per il ruzzolone sul ponte. Come nel ’38, un pugno di uomini si gioca la vittoria di Ravenna. Sfilano per circonvallazione rotonda dei Goti tutti accucciati dietro le divise bianco-giallo-nere della Htc. Alla svolta di Porta Serrata s’intravede il baluginio delle lenti a specchio degli occhiali verde ranocchia di Cavendish. E’ la scintilla, gli dei degli antichi goti chiamano a battaglia. La velocità è alta, uscire da ruota è un azzardo. Eppure il cuore di Romagna batte forte: Manuel ci prova ma si pianta quasi subito, il suo sprint non fa male. Davanti viaggiano, eccome. Quando il generoso corridore della Colnago esaurisce le forze, parte Cavendish. A tutta forza. Non ce n’è neanche per Petacchi, qui vincitore nel 2005. L’apripista Renshaw ha fatto un lavoro impeccabile, all’inglese della Htc restano solo gli ultimi 200 metri al vento. Li percorre tenendo fede al soprannome, come una palla di cannone. O, vista la sua fenomenale ascesa dell’Etna, con la forza di un vulcano in eruzione.
ECon

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